Album Reviews

  • Quando un disco è estremamente eterogeneo mette in difficoltà chi ne deve scrivere. Parliamoci chiaramente: prima di tutto è difficilissimo che un disco che pesca a piene mani da molteplici generi mantenga una qualità elevata e omogenea, e secondariamente mette praticamente il redattore di turno con le spalle al muro. Come parlarne se non con un (noiosissimo) track by track? Ho la fortuna di collaborare con devi veri pesi massimi del giornalismo italiano e quindi da buon “apprendista” sono subito corso da una di queste colonne (quanti giornalisti metal italiani si possono ad oggi, considerare “storici”? Quattro? Cinque?) che mi ha consigliato di essere “creativo”. Lo deluderò, perché questo disco mi ha così confuso da inibire ogni mia fantasia, tanto sono dovuto restare concentrato sui continui salti stilistici che questi The Mugshots compiono tra i solchi digitali di questo CD intitolato ‘Something Weird’. E gli ospiti presenti in questo lavoro? Lasciamo perdere: un party di musicisti provenienti dalle più disparate realtà musicali. Insomma ci facciamo coraggio e proviamo a spiegarvi qualcosa di questo disco?

     

    Prodotti da Freddy Delirio (Death SS) i Nostri hanno come unico comune denominatore una certa musicale teatralità, sopratutto nel cantato particolare di Mickey E. Vil, sempre a cavallo tra un approccio punk e un cantato personalissimo che in più frangenti ricorda una sorta di ibrido tra Alice Cooper e l’altrettanto iconico Steve Sylvester. Per il resto che dire? Il… “resto”? Il resto è tutto e l’opposto di tutto: una ‘The Circus’ che ricorda i The Clash, ‘Rain’ che non può portarci alla mente che un certo sound dark ottantiano influenzato dal POP da classifica. Freddy Delirio presta i suoi tasti d’avorio per la terza traccia intitolata ‘I Am An Eye ‘, pure horror-prog, con il singer che “arrotonda” maggiormente la propria voce, rendendola maggiormente calda e profonda. Qui c’è di tutto, doom settantiano e dark metal, dark rock e un pizzico di progressive nell’ instancabile tappeto tastieristico di Freddy. Per quanto mi riguarda la palma come miglior pezzo del lotto è la bellissima ‘Sentymento’, canzone che ospita il mitico Enrico Ruggeri e che è uno splendido connubio tra i Decibel di ‘Contessa’ e il rock all’avanguardia di band come i Bluvertigo più sperimentali e “spaziali”. Come si prosegue? Con Steve Sylvester, Manuel Merigo degli In.Si.Dia, Mike Browning dei Nocturnus, Tony Dolan dei Venom Inc. e molti, moltissimi altri. La cosa ulteriormente spiazzante è che la band non usa poi in modo scontato tutti questi personaggi: è vero che ognuno di loro fa quello che sa fare meglio, ma calato in un contesto spesso spiazzante. Ecco che se allora (ad esempio) sperate di sentire sonorità progressive death nel pezzo che vede la partecipazione di Browning… bhe… resterete delusi, visto che il brano intitolato ‘Grey Obsession’ sembra estrapolato da quel capolavoro che risponde al nome di ‘Viaggio Senza Vento’ (Timoria, PolyGram, 1993).

    Come avrete capito “eterogeneità” qui è la parola dominante ma… la qualità? Non possiamo scrivere che la qualità sia alta e costante, con alcuni brani che non ci hanno convinto (quando la band si lascia andare alle proprie influenze punky e “caciarone”) e altre che invece – a detta di chi vi scrive – andrebbero esplorate e approfondite. Il flavour dark rock, con quelle fughe strumentali auliche e l’approccio vocale istintivo e caratterizzante sono ciò che ho apprezzato di più, con quelle montagne russe musical temporali che ci portano avanti e indietro nel tempo. Che dire ancora? Nella mia mente malata vedo la band cantare in italiano e proporre finalmente un qualcosa di nuovo e unico nel panorama tricolore. Ma forse sto esagerando nell’essere “creativo”.

  • C'è veramente qualcosa di strano ("Something Weird") nel progetto inedito targato The Mugshots. E' partendo dalla fumettistica copertina di Enzo Rizzi (quello degli albi Heavy Bone per intenderci) che inequivocabilmente si intuiscono le stravaganti velleità del quintetto bresciano; il cruento accostamento tra il ritratto in bianco e nero della band, il pietrificatore di Lodi Paolo Gorini e il killer clown John Wayne Gacy sintetizzano l'omaggio alla controversa spettacolarità dell'icona ispiratrice Alice Cooper, preannunciando le teatrali ed oscure vocazioni di Mickey E.Vil (voce e synth), Erik Stayn (tastiere), Eye Van (basso), Gyorg II (batteria) e Priest (chitarre). Scorrendo la scaletta ci accorgiamo che i confini sonori della band non si limitano alle solite trame heavy-gothic ma si addentrano decisamente in contesti più complessi rimandando a risonanze dai tratti psichedelici, progressivi e rabbiosamente punk.

    Sotto la produzione artistica di Freddy Delirio (Death SS, H.A.R.E.M.), per la realizzazione di questo terzo album The Mugshots chiamano a raccolta una significativa schiera di musicisti. Tra i numerosi contributi presenti, si apprezzano le incursioni del fletless dell'ex Counting Crows Matt Malley e del flauto di Martin Grice dei Delirium nella lisergica Grey Obsession, le evoluzioni canore di Steve Sylvester (Death SS) in Scream Again e quelle di Enrico Ruggeri in Sentymento. In tutto dodici tracce, di cui tre strumentali, composte in toto da Mickey E.Vil –estroso autore tra l'altro di apprezzati soundtracks di pellicole indipendenti canadesi- tra le quali vale la pena menzionare I Am an Eye (con Delirio alle tastiere) e la hard ballad Pain nella quale è presente un cameo del chitarrista Manuel Merigo dei metallici In.Si.Dia.

    “Something Weird” è un mugcaleidoscopio dai caotici colori rock che sorprende per ispirazione ed energia. Tastiere sugli scudi, riff potenti e ritmiche arrembanti caratterizzano un album che difficilmente consente distrazioni all'ascoltatore di turno. Un tourbillon emozionale di difficile catalogazione tanti appaiono i pertugi sonori aperti e chiusi nel suo istrionico svolgimento. Una prova divertente e convincente; decisamente qualcosa di stranamente interessante. Voto: 7/10

  • Billed as “Elitarian Undead Rock”, the Italian theatrical rock outfit known as The Mugshots have slowly been carving out a name for themselves in their native country. However, with their latest release, the mini album entitled Love, Lust and Revenge, it appears that they have their sights set on bigger things.

    Originally conceived in New York City back in 2001 by head mugger and lead vocalist Mickey E. Vil after listening to Alice Cooper’s 1983 DaDa album, E. Vil has spent the ensuing years perfecting the bands unique brand of horror influenced, shock rock. Picture the visual look of The Misfits, complete with skeletal patterned makeup, and throw in a hearty dose of Iggy Pop’s attitude, along with creepy synth washes and that will give you better of idea of what to expect from these sonic ghouls.

    In a fitting pairing, the band enlisted the help of the late Dick Wagner, whose vital contributions as a bandleader, writer and guitarist, played a pivotal role in propelling Cooper to superstardom as a solo artist in the mid 70’s. Clocking in at a shade under thirty minutes Love, Lust and Revenge takes a somewhat more subdued, almost subversive approach from the sound of their past efforts, however with Wagner’s guiding hand, this is a definitely a good thing as they have definitely expanded their sonic palate in the process.

    Opening track “Nothing At All” kicks off with some nice cascading piano notes, before gradually shifting gears and blossoming into a magnificent, full blown piece of dark, cinematic rock as E. Vil spins his remorseless tale of murder, overtop the lush background vocals and layered musical arrangement. This song perfectly lays the groundwork for the rest of the album and the next two tracks “Under My Skin” and “Curse The Moon” stylistically continue along the same path. The second track in particular is highlighted by some scorching lead guitar work courtesy of The Maestro himself. The mid tempo “Free (As I Am) changes things up a bit and is worth mentioning just for its gorgeous, melodic hooks and infectious chorus. I would definitely have to say that this is probably the strongest (and my personal favorite) track out of the six offered up here. What better way to tie up this mini masterpiece than with a closing tip of the hat to the original parties involved and the album that influenced it all. The band offers up their take on “Pass The Gun Around”, which was the final track on DaDa, and man do they turn out a stellar version that, dare I say almost comes close to topping the original.

    Sadly, there will be no further collaborations due to the tragic passing of Dick Wagner earlier this summer, however with Love, Lust and Revenge The Mugshots have definitely learned from and made the most of their experience working with Wagner. They’ve taken a significant step forward in all major areas and it will be interesting to hear where they take things from here.

  • (TRANSLATED FROM DUTCH)
     
    It was not such a bad idea for this Italian band to choose to have an English name to identify themselves. The sound looks back to that kind of prog influenced by pop and rock like the one played in the mid eighties by english bands like Twelfth Night and Cardiacs. 
     
    The songs are short and energetic, based much more on guitars and vocals rather than on keyboards, although an occasional Dracula-like organ plus som Mark Kelly keyboards add somm nice fresh accents. An association with the Italian school is hard to find (except for the Dracula-organ).
     
    This energy and those fresh things make sure that the band can hide the fact that there is too little composition for a whole album. The beginning is fine and the last tracks sound amazing but in between something lacks. A record with funny sides but it won't last. 
     
  • Dark rock is the description which can be found on their Facebook page. The says to be inspired by Alice Cooper, something that can partly be discovered, but my first impression was more in the direction of a sloppy, bad performed mix of Millencolin and HIM.

    These tunes contain both a punky unruliness and loads of theatrical exaggeration which can be experienced without the visual effect. Even though I'm a big fan of uncle Alice, the material of The Mugshots cannot be appreciated that much by me. The voice can be experienced as straight annoying (matter of taste of course), the keyboard sounds very cheap (on purpose probably), and the combination of these cheap eighties synthesiser tunes and garage punk guitars can cause a very strong feeling of disliking in my case.

    Take for example track six, starting with an even very acceptable gritty guitar, which flows over in a gothic like thing just before the line gets boring, but those added Jean Michel Jarre elements take care of a serious headache.

  • Gli italiani The Mugshots nascono ufficialmente nel 2001 dalla mente del cantante Mickey E.Vil. In tutto questo tempo non sono mancate diverse soddisfazioni non da poco, come il vanto di essere stati prodotti dal guru Dick Wagner (Alice Cooper, Lou Reed). “Something Weird”, il nuovo disco della formazione tricolore, porta avanti un hard rock tinto di venature dark, metal, punk, new wave ed amplificato da una fortissima componente teatrale. Una canzone come “The Circus” infatti richiama subito il seminale Alice Cooper, qui tributato con grande enfasi a cui si aggiunge un sound moderno con spruzzate di elettronica molto accattivanti. I synth dominano la successiva “Rain”, una bella commistione tra pop anni Ottanta e rock duro, molto godibile all’ascolto. Con “I Am an Eye” troviamo un po’ di Death SS, il sinistro organo si staglia poderoso sul brano, che colpisce per quel gusto progressive rock anni Settanta che qui viene reso più attuale grazie alla buona produzione di Freddy Delirio. Su questo disco appaiono un sacco di ospiti, famosi ed anche inusuali, ma questo calderone così variegato funziona molto bene nell’insieme:  da Tony Dolan (Venom Inc.) a Steve Sylvester, da Matt Malley a Enrico Ruggeri. “Sentymento”, che vede proprio la partecipazione di quest’ultimo, è un ottimo esempio di dark rock, “Scream Again” invece unisce metal a momenti più psichedelici, si tratta di uno dei pezzi più pesanti e classici dell’intero lavoro (grazie anche alla presenza di Freddy Delirio, Steve Sylvester e Ain Soph Aour dei Necromass). Oggi stupire, scioccare, lasciare a bocca aperta è davvero difficile perché si è visto e sentito di tutto e questo vale anche per la proposta dei The Mugshots che, per quanto pregna di enfasi e teatralità, non arriva a far ribollire il sangue nelle vene. Ciò non vuol dire che ci troviamo di fronte ad un lavoro privo di emozioni, anzi. La qualità, le idee, il gusto per i suoni, gli arrangiamenti, tutto è stato curato con grande dovizia ed il risultato si sente. “Something Weird” si conferma una proposta molto variegata ed interessante, per apprezzare al meglio i nuovi brani di The Mugshots non bisogna avere la mente chiusa: un ascolto aperto e senza paraocchi è ciò che serve per gustarsi appieno questa musica.
  • La disperazione di vivere in un mondo musicale fatto di migliaia di band inutili affligge tanti ascoltatori e ancora di più gli addetti ai lavori. Album a centinaia tutti i mesi, tra i quali però diventa sempre più difficile muoversi e sempre più difficile cogliere il valore aggiunto di quel bene prezioso che è la personalità, unico vero elemento capace di fare la differenza nell’eterna diatriba tra innovazione e conservazione. Perché l’originalità a qualunque costo è noiosa almeno quanto la totale assenza di innovazione, se non c’è l’elemento della personalità unito a quello dell’ispirazione, a fare la differenza. E’ per questo che a volte arriva l’urlo del recensore di fronte all’ennesimo album uguale a se stesso, magari anche ottimamente confezionato, ma privo di una qualunque utilità. Un urlo che non sempre viene percepito come necessario anche dagli appassionati, ai quali tutto sommato un disco ben fatto interessa di più che uno che aggiunga una nuova pagina al libro della musica e non si limiti a sillabare continuamente quanto già scritto da altri. Eppure, un bisogno di spostarsi avanti esiste e se proprio non si riesce ad andare avanti, piuttosto che rimanere fermi, è quasi meglio tornare indietro in questa lettura. E’ per questo che, a volte, dischi che poi col tempo rivelano la propria debolezza, vengono sul momento premiati oltre le proprie intrinseche qualità, magari perché hanno effettivamente qualcosa da aggiungere o piuttosto perché pur riportando la lettura indietro di qualche pagina, aggiungono una interpretazione diversa a quanto già codificato in passato. Insomma, la chiave offerta dalla personalità, in musica, apre o aprirebbe davvero tante porte e renderebbe più interessante anche un qualcosa di già noto, se ben utilizzata.
    Ecco quindi come calare nel contesto di questo discorso la nuova uscita per The Mugshots, band italiana ormai da diverso tempo in pista e autrice del proprio quarto album, uscito a fine 2016 per la sempre attenta Black Widow Records. La band si è scavata una propria nicchia nel tempo riuscendo a legare il proprio nome a quello di una leggenda come Dick Wagner, attirando l’attenzione grazie ad una proposta piuttosto particolare e molto caratterizzata. Al centro di tutto, l’amore per tematiche horror e gotiche, gli anni settanta, i fumetti e un immaginario musicale che parte dal post punk/dark/new wave, fino all’hard rock, allo shock rock e all’art rock. In questo ampio spettro, nel quale il Rocky Horror Picture Show convive con Bela Lugosi e i Freaks di Tod Browning, Alice Cooper, gli Stranglers e i Tubes, e nel quale quindi l’immaginario gotico e grandguignolesco sposa un anticonformismo del tutto slegato dal contesto musicale attuale, la band trova una sua dimensione in continua evoluzione.
     
    Something Weird è un disco palesemente ambizioso: anzitutto, nell’ampio pastiche musicale messo in opera, che tocca contesti anche lontani tra loro, mantenendo sempre un approccio dark e grottesco, molto Creepy o Racconti dall’Oltretomba, se preferite. In secondo luogo, per il grande dispiego di collaborazioni, che vanno da Freddy Delirio e Steve Sylvester (Death SS), a Martin Grice, Mike Browning (Nocturnus), Tony Dolan (Venom Inc.), Manuel Merigo (In.Si.Dia), Ain Soph Aour (Necromass) e via discorrendo, senza dimenticare la preziosa partecipazione di Enrico Ruggeri. Infine, per il curatissimo packaging del disco, con la copertina opera del ben noto Enzo Rizzi, perfettamente calato nella realtà della band. Un grande dispiego di forze a cui fa da contraltare la musica della band, interamente composta dal band leader Mickey Evil. Attingendo a piene mani da questo vasto background e dotato di un tocco retrò sempre ben presente, l’album ben si presta ad essere apprezzato da una platea trasversale, ma corre il forte rischio di risultare fin troppo eterogeneo, offrendo una visione multisfaccettata, ma al contempo un po’ fuori fuoco. Al senso di disorientamento contribuisce l’interpretazione di Mickey Evil, il quale, forse alla ricerca di una propria cifra artistica, finisce per scegliere spesso un cantato caricaturale e grottesco, quasi da fumetto, ma con una evidente interpretazione maligna e perversa, come una sorte di folle clown che distorce la propria voce per impaurire i bambini, e che raramente riesce però a donare davvero qualcosa al brano, risultando spesso velleitaria e fine a se stessa. Come anche nell’uso continuo dei sintetizzatori, sembra che si sia voluto mettere fin troppo nella ricetta, senza per questo venire a capo con un piatto coerente e gustoso, quanto piuttosto con una gran quantità di sapori, magari anche buoni presi di per sé, ma non per questo soddisfacenti una volta messi insieme. 
    Quanto detto non vuol significare che Something Weird sia un brutto disco e certo non si potranno accusare i The Mugshots di difettare in creatività e voglia di stupire e coinvolgere l’ascoltatore. Il lavoro di stratificazione ricercato non va affatto a guastare l’approccio rock della band e anzi è evidente come il tentativo di incastrare le diverse sfumature riveli una cultura non solo musicale molto ampia e solida e una capacità di costruzione dei brani fervida di soluzioni e accostamenti felici negli intenti. Al tempo stesso, l’immaginario di riferimento è talmente noto e abusato che pur risultando simpatico e piacevole, difficilmente riesce davvero a stupire o a farsi apprezzare per l’originalità. Il circo maledetto che apre l’album dopo il breve intro è l’esempio forse più eclatante in tal senso e la sua promessa di morte e dannazione per il pubblico accorso risulta un poco stantia e di scarso effetto, pur nella sua convinta e riuscita trasposizione musicale. In particolare, sin dall’introduzione è il basso di Eye Van a scandire le danze, assieme ai sintetizzatori e in seguito alla chitarra elettrica, mentre in Circus l’influenza post punk è evidente ed Evil invita il pubblico a prendere posto con una melodia quasi cantilenata; è però solo nella seconda parte dopo il classico break con le risate psicotiche e la voce declamatoria del “direttore del circo”, che il brano prende davvero il via, con tutti gli elementi al loro posto, risultando nel complesso un buon avvio di album. Purtroppo molto più anonima la seguente Rain, anch’essa legata ad una forma riconducibile al post punk, ma tutto sommato innocua, pur non risultando sgradevole e con un Mickey Evil molto più interpretativo e coadiuvato dalla seconda voce di Francesca Scalari. Deciso cambio di passo con la seguente I Am an Eye, che distrattamente potrebbe anche passare per un brano dei Ghost, con l’organo a intessere il proprio marchio su un tipico giro doom tombale, con tanto di campana in sottofondo e una seconda parte più movimentata e rockeggiante. An Embalmer’s Lullaby Part Two prosegue la buona vena del disco, stavolta con un buon connubio delle varie componenti strumentali e i sintetizzatori che sottolineano e amplificano il mood della canzone, apportando anche una sezione di clavicembalo e archi a metà brano. Forse un po’ breve e non particolarmente significativa, ma comunque ben fatta. Peccato che la seguente Ophis si riveli uno strumentale, perché nel suo essere ben fatto e gradevole, lascia un po’ di amaro in bocca per quello che avrebbe potuto essere corredato da una parte cantata di spessore. I pezzi forti del disco arrivano però da ora in avanti, con Sentymento che ospita un bravo e perfettamente calato nel ruolo Enrico Ruggeri, che prende il proscenio con la sua voce baritonale ed immediatamente riconoscibile e la successiva Scream Again, all’apparenza una ballad inquietante e piena di ombre, nella quale Evil è accompagnato niente meno che da Steve Sylvester e Ain Soph Aour, entrambi capaci di evocare i propri spiriti in momenti diversi del brano, esaltandone la mutevolezza e le particolari atmosfere. Peccato che a questo punto la band piazzi un brano del tutto indecifrabile come Grey Obsession, che pur potendo vantare due ospiti illustri come Mike Browning e Martin Grice, si rivela come una specie di mantra di matrice orientaleggiante, sognante e fascinosa, ma assolutamente avulsa dal contesto del disco. La successiva Dusk Patrol è un brano breve e quasi strumentale, di effetto e atmosfera, nella quale Tony Dolan gioca il ruolo di voce recitante, con una interpretazione che potrebbe ricordare persino Mike Patton. Molto più interessante la successiva Pain, brano struggente nel quale anche la chitarra riesce finalmente ad emergere in chiave solista e l’interpretazione di Mickey Evil, pur senza rinunciare alla caratteristica voce paperinesca, si rivela misurata e di buona efficacia. Chiude Ubique ed è nuovamente un brano strumentale, che scorre via piacevolmente, senza lasciare granché, a parte l’inquietante finale.
     
    Tornando al discorso iniziale, sarà difficile che Something Weird e i The Mugshots possano essere accusati di mancare di personalità e voglia di emergere. Un aspetto questo che andrebbe premiato, a maggior ragione in un contesto musicale odierno composto da band fotocopia e senz’anima, che sono proprio l’antitesi di quanto proposto dal gruppo italiano. Lo sforzo compositivo e di evocazione di un immaginario gotico e orrorifico classico, caro tanto al mondo del cinema quanto a quello dei fumetti, è un aspetto che non si può sottostimare. Al tempo stesso, è difficile arrivare in fondo all’album e ritenersi davvero soddisfatti da quanto ascoltato. Il continuo saliscendi qualitativo e l’eterogeneità della proposta, specialmente nella seconda parte, assieme ad alcune scelte stilistiche forse non pienamente convinte e convincenti, rende arduo un giudizio pienamente positivo. Un vero peccato, perché in tutti i brani il talento della band è davvero evidente e in alcuni di essi si raggiunge già adesso un livello anche buono e capace di aprire ampi spazi sul futuro. Probabilmente qualcosa nella proposta può e deve ancora essere limato, oppure, definitivamente liberato da qualsiasi tentativo di ridurlo ad una forma e ad una struttura limitanti, come quelle attuali. In buona sostanza, si rischia di essere troppo complessi senza riuscire a gestire questa complessità, ma al contempo troppo orecchiabili e ad ampio raggio di potenziale utenza, per raggiungere reali picchi di innovazione artistica. Alla band non mancano davvero le capacità per un ulteriore salto e il raggiungimento di quella forma definita che farebbe davvero la differenza, andando finalmente a comporre il quadro tra personalità, ispirazione e qualità di scrittura. 
  • Il nuovo album dei The Mugshots è definito come “Elitarian Undead Rock”, e consiste fondamentalmente in quasi 49 minuti di una musica che definisco per sommi capi come un rock che sperimenta con sonorità a volte gotiche, a volte più creepy e più raramente ariose, che solo a tratti si affaccia al metal, e il tutto condito da una pletora di ospiti perlopiù illustri, che comprendono anche Steve Sylvester, Ain Soph Aour, Tony Dolan, Freddy Delirio, Mike Browning e perfino Enrico Ruggeri. Come si può legare questo genere musicale (gothic rock, chiamiamolo così per semplicità) con le capacità compositive dei The Mugshots e una tale pletora così variegata di guests? Se lo fai, o ci troviamo di fronte a qualcosa di rivoluzionario, oppure ci troviamo di fronte a qualcosa di over-produced e over-thought, dove qualcosa tra i contributi massivi dei guests o il songwriting sbilancia tutto e oscura l’altra componente. La risposta data da “Something Weird”, purtroppo, ci dice che tutto ciò non si può legare, o che se anche si può fare “Something Weird” non è un buon esempio di tutto ciò.
     
    La prima parte dell’album infatti (quella più scevra da guests) è quella che descrive di più le capacità proprie dei The Mugshots e che purtroppo mostra dei limiti: lo stupore iniziale di questo rock abbastanza creepy di “The circus” lascia ben presto spazio ad un ritornello incolore, riffs invero abbastanza anonimi e soprattutto ad una voce che cerca di essere grottesca ma che dopo un po’ risulta poco efficace, forse perché troppo impostata o dallo stile che non cambia granché. E se gli stessi problemi ce li abbiamo in “Rain”, è da qui in poi che escono fuori altri problemi: Punto primo: appena subentrano i guests, lo stile dei The Mugshots cambia e tutto suona molto più nello stile del guest che della band in sé. Ne siano un esempio le tastiere di Freddy Delirio, che nella quarta canzone fanno virare il brano su di una cosa tra Ghost e Death SS. Punto secondo: brani come la quinta canzone che suonano troppo diversi, scollati o messi al posto sbagliato dell’album. Punto terzo: troppe strumentali sinceramente inutili e che appesantiscono il lavoro, spesso neanche così speciali, come “Ophis”. E una volta preso atto di tutto questo, “Something Weird” si rivela per quello che è: un disco fatto da una band discreta, ma che suona appesantito da troppe strumentali e brani fuori contesto, e dove i guest finiscono per rendere poco comprensibile il valore proprio della band, i quali a volte sono francamente evitabili (Perché chiamare Tony Dolan per fargli fare fondamentalmente qualche spoken vocals su di un intermezzo?), o a volte semplicemente sovrastano la band, come Enrico Ruggeri che in “Sentymento” umilia letteralmente e surclassa Mickey Evil, finendo per farsi notare solo lui in una canzone che tra l’altro suona diversa dalle altre (troppo ariosa e distaccata da tutto il resto). Inutile la parte finale dell’album, costituita da una nona canzone che di nuovo, è avulsa da tutto il resto, da un intermezzo inutile e da una “Pain” anche bella e finalmente con una chitarra solista, ma che forse arriva tardi, quando a causa di così tante variazioni stilistiche un buon brano dei The Mugshots arriva quando l’attenzione è già scesa.
     
    In conclusione: “Something Weird” non è affatto weird secondo me: è il frutto di una band che avrebbe anche fatto un disco decente, ma che viene penalizzato da una tracklist un po’ discutibile, da una certa voglia di teatralità invero che suona un po’ cheesy e pretenziosa, e soprattutto la cui personalità viene deformata troppo da tanti contributi esterni che vanno in direzioni differenti, rendendo quasi impossibile capire dove finisca il guest e dove comincia lo sforzo proprio della band. “Something Weird” è la prova che tanti ottimi ingredienti non bastano a fare una ottima zuppa, e per questo io non ne sono rimasto impressionato.
  • In 2002 The Mugshots were established in New York City, but surprisingly they are based in Italy. A mugshot is a slang term for a police photograph or a portrait taken after a person is arrested. The nicknames of the current band members are Mickey Evil (vocals, keyboards), Erik Stayn (keyboards), Eye-Van (bass), Macfly (guitar) and Gyorg II (drums). Special guest on lead guitar and additional piano is the legendary master of rock Dick Wagner who worked with Alice Cooper , Lou Reed, Kiss, Aerosmith and Peter Gabriel. In recent years the band recorded two full-fledged albums, namely House Of The Weirdos and Weird Theatre and two EPs called Doctor Is Out and In Disguise. The latter was distributed by an independent Italian label and got some enthusiastic reviews around the globe. 

    The EP Love, Lust And Revenge contains five songs all lasting over five minutes. The opening track Nothing At All has a fine piano and drum intro and great singing by Mickey Evil. The influence of Dick Wagner can already be noticed since this piece sounds like a radio-friendly Alice Cooper song. Listen to the two well-played guitar solos in the mid-section and at the end of the song. Next is the ballad Under My Skin which contains enough musical and lyrical variations to keep me focussed. Curse The Moon has the same intro as the Alice Cooper hit Hello Hooray!; the guitar licks of Dick Wagner are present all the time. Free As I Am is more a rock song with a happy feel; this could have been another song from the master of horror rock! The final song Pass The Gun Around is another great track with melodic guitar sounds and witty lyrics about gunslingers and drinking too much vodka. A nice guitar solo by MacFly ends this EP. 

     
    For me The Mugshots were a big surprise. They know how to write attractive, classical rock songs with fine melodies and intelligent lyrics.
     
     
  • La band italiana, sebbene formatasi a New York, scrittura il braccio destro dei disci più fortunati di Alice Cooper degli anni '70, Dick Wagner, come produttore (e chitarrista) per questo nuovo EP di classico rock e l'alchimia funziona alla grande.

    Suoni curati e in stile con il genere, composizioni che sembrano uscire da quegli anni e la produzione ricorda addirittura il tocco di Kim Fowley. Crime stories, noire puro nella migliore tradizione della band che già nei precedenti lavori aveva mostrato inclinazioni per il genere nei testi.

    L'iniziale "Nothing At All" e "Curse The Moon" tra i brani più riusciti, dall'energia irrefrenabile, perizia musicale e produzione superprofessionale e di gusto. Rock adrenalinico allo stato puro.

  • Non sono una band come le altre i Mugshots. Attivo da oltre dieci anni, il five-piece bresciano raggiunge con questo EP un piccolo ma importante traguardo, rappresentato dalla collaborazione con Dick Wagner, già chitarrista di Alice Cooper e Lou Reed. E "Love, Lust And Revenge" è fortemente influenzato da questo incontro, tanto che ben due brani su cinque portano la firma di Wagner - "Under My Skin" scritta originariamente per Alice Cooper e "Pass The Gun Around", pubblicata dallo stesso Cooper nel 1983.

    Il suono della band è teso e decisamente borderline rispetto a quanto passa solitamente su queste pagine: i richiami agli anni Sessanta e Settanta sono evidenti, dai citati Alice Cooper e Lou Reed fino alle cose più cupe di David Bowie.

    Piace la sensazione di inquietudine latente che i ragazzi sanno trasmettere con poche pennellate sonore e piace la capacità di essere incisivi - la sostanza che regna sulla forma. Interessanti...

     

     

  • Rispetto al recente passato, il bizzarro dark rock (da intendersi più secondo un'accezione estetica che strettamente musicale) dei The Mugshots ha ulteriormente accentuato il proprio legame con la tradizione degli anni '70: nelle atmosfere soffuse di "Love, Lust And Revenge" ricorre infatti il gusto per arrangiamenti minimali ma efficaci, ed ampio spazio è lasciato ad una vena decadente ed introspettiva che poco ha a che spartire con gli eccessi tipici dei tempi in cui viviamo.

    Basta ascoltare "Curse The Moon", dall'impostazione nostalgicamente retrò, per avere un quadro riassuntivo di quanto il quintetto intenda rievocare: siamo infatti al cospetto di un romantico lamento che riecheggia di suggestioni perdute e rivitalizza il gusto per le provocazioni glam alla maniera del primo Alice Cooper.

    Non sono da meno "Free (As I Am" e "Under My Skin", mentre l'agrodolce "Pass The Gun Around" ha il compito di chiudere il sipario su di un lavoro breve (al di là dei brani citati, dalla lista manca solo "Nothing At All") ma particolarmente efficace nel tratteggiare i confini del nuovo corso, più sobrio e concreto, targato The Mugshots.

  • L’America ha portato fortuna ai nostrani The Mugshots, formatisi nel 2001 a New York City e giunti, dopo cambi di line-up e pubblicazioni di svariato materiale, all’incontro con Dick Wagner, produttore e musicista statunitense noto per aver lavorato con alcuni grandi del rock come Alice Cooper, Lou Reed, i Kiss e molti altri. Un colpo grosso, oltre ad assegnare al quintetto bresciano il primato di essere la prima band europea prodotta da Wagner.
     
    Durante lo scorso anno, i Mugshots e il produttore si sono concentrati sul nuovo lavoro, l’EP “Love, Lust And Revenge”, mixato ai prestigiosi Chaton Studios di Phoenix (Arizona) da Otto D’Agnolo (Neil Diamond, Red Hot Chili Peppers, Soulfly, Kenny Rogers e molti altri) e pubblicato il 29 Marzo scorso tramite la genovese Black Widow Records. Da ricordare è anche il lavoro di mastering, svolto in Massachusetts da Gil Markle, collaboratore di star quali Stewie Wonder, Aerosmith e Rolling Stones.
     
    Caratteristica dei Mugshots è da sempre l’incentrare i propri testi su crimini e storie a tinte noir (il nome stesso del gruppo, in inglese, significa “foto segnaletiche”) e queste nuove tracce non fanno eccezione in questo senso; il sound dark-rock delle produzioni precedenti ritorna arricchito dalle atmosfere 70s, in echi quasi floydiani (“Nothing At All”) o dal tono più simile al rock-folk americano, fatto di chitarre acustiche e melodie semplici ma ben costruite. La melodia malinconica del piano introduce “Curse The Moon”, nella quale ritornano le atmosfere cupe che avevano aperto il disco. “Free (As I Am)”, primo singolo estratto dall’EP, vede la partecipazione musicale di Dick Wagner in un brano che rievoca il David Bowie degli anni ’70, nella struttura del brano e anche nelle vocals. La conclusiva “Pass The Gun Around”, con il suo ritornello orecchiabile e le interessanti melodie evocative create dalla chitarra elettrica – la vera protagonista del brano – chiude un lavoro intenso e promettente, seppur di breve durata; l’ennesima dimostrazione che la scena musicale del nostro Paese non è per niente morta come spesso si pensa, anzi. Bisogna solo scavare un po’ sotto la superficie…
     
     
  • I The Mugshots, combo nostrano con alle spalle ben due full length, rappresentano una realtà alquanto bizzarra; per quanto ai più possano sembrare degli sconosciuti, essi rappresentano nel loro piccolo una realtà assai interessante ed affascinante. Ciò che è stato in grado di dare una spinta verso l'alto al quintetto è stato nel 2012 l'inizio della collaborazione con nientepocodimeno che Dick Wagner, famoso chitarrista di Lou Reed ed ospite per vari progetti di Kiss, Aerosmith e Meat Loaf. Dopo un anno di lavoro la band rilascia nel 2013 questo Love, Lust and Revenge, che nonostante alcune scelte discutibili riesce nel farsi apprezzare.
     
    Il disco si compone di cinque brani, non molto diversi tra loro, che si orientano più verso un progressive rock settantiano ricordante i Jethro Tull piuttosto che verso il post punk proposto nei precedenti lavori. Nothing At All, prima (e migliore) canzone del plot, è aperta da dolci note di pianoforte, contornate dai suoni di chitarra e basso che presto prendono il sopravvento assieme alla bella voce di Mickey Evil, il tutto condito con un testo molto cupo (caratteristica ricorrente nei The Mugshots), a dispetto della atmosfera "amichevole" del brano. Under My Skin è molto simile alla precedente, se non fosse che qui le somiglianze con il David Bowie dei tempi sono talmente evidenti da parere esagerate. Curse The Moon è un'altro episodio molto interessante, sostenuto da un malinconico Erik Stayn alle tastiere e dal solito giro di chitarra azzeccato; davvero buona la prova di Mickey Evil, che possiede una voce assai piacevole. In Free (As I Am) compare Dick Wagner come ospite alla chitarra, e di nuovo si possono sentire i grandissimi richiami al Bowie settantiano. Chiude il tutto Pass The Gun Around, canzone molto carina ed orecchiabile, con un Macfly protagonista alle sei corde capace di dare una spinta in più al resto del gruppo. Ottima tra l'altro la produzione, cristallina,
     
    Un disco di classe non c'è che dire, caratterizzato da moltissime influenze, forse troppe; il rischio di cadere nel "già sentito" è ora più che mai un problema per gruppi come i The Mugshots, ma non sarebbe giusto dargliene colpa. Tutto il meglio è già stato scritto, quindi ispirarsi ai migliori appare come più che lecito; soprattutto se come i nostri hanno fatto si va poi ad amalgamare queste influenze con altre sonorità (in questo caso trattasi di goth rock e post punk).
    Un lavoro davvero molto piacevole, consigliato a tutti.
  • Mi sono perso la calata italica di uno dei miei eroi musicali, Dick Wagner, di cui ho seguito le gesta fin a partire dagli oscuri Ursa Major, poi Dick ha preso il volo e ha collaborato con grandi nomi come Lou Reed, Alice Cooper, Kiss e Peter Gabriel tanto per chiarire la caratura del personaggio. La venuta di un artista del suo calibro ha lasciato una traccia inattesa, la produzione del disco di questa band italiana ed ero piuttosto curioso di poterci mettere le orecchie. Wagner comunque ha anche composto insieme al gruppo e ha suonato in alcuni pezzi. I cinque ragazzi di Brescia hanno convinto il veterano del rock con la loro musica, già solo questa notizia mette voglia di saperne di più. La band è nata nel 2001 e all’attivo ha già due album e questo è il terzo Ep. A parte questi brevi cenni biografici non so molto di più. Il gruppo propone una musica molto americana, che sembra nata a New York ed in effetti pare che l’idea della band sia venuta proprio a Mickey E.Vil visitandola. Qualcuno ha li ha descritti come un incrocio fra i Blue Oyster Cult e Stranglers, ma da questo Ep io ci trovo qualcosa anche di Reed, il Joel più duro e di Patti Smith.
     
    Il presente disco è composto da cinque brani, il primo “Nothing at All” è una rock song visionaria, l’inizio è carico di suspence e mistero, sembra un pezzo uscito da un disco dimenticato dei mitici settanta, questi ragazzi sono proprio capaci di ricreare un’atmosfera credibile. Il secondo brano è di Dick, “Under My Skin” un pezzo ruvido, acido, psichedelico, si sente la mano del maestro, ma bravi anche i Mugshots che lo interpretano proprio bene. Molto bella anche la sofferta e teatrale “Curse the Moon”, dove troviamo anche un sentito assolo di Wagner e dove la band mette a frutto tutta la propria personalità. “Free As I Am” è un moderato hard rock alla maniera di Reed, ancora molto ancorato a sonorità un po’ dimenticate, ma che hanno ancora grande fascino, restituito a meraviglia da questi ragazzi. Si chiude con una bella cover di Alice Cooper “Pass the Gun Around”, il brano che non ti aspetti e non posso che apprezzare questa scelta che dimostra vera passione.
     
    I Mugshots sono un gruppo che si sta facendo apprezzare per una proposta personale e fuori dal coro, una voce che sembra isolata nel mare delle produzioni nazionali, ma che non deve sfuggire ai veri appassionati di musica e so che fra i nostri lettori ce ne sono.
     
     

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